L'ultimo giorno di un condannato a morte

L'ultimo giorno di un condannato a morte

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Introduzione di Arnaldo Colasanti
Cura e traduzione di Maurizio Grasso
Edizione integrale

L'angosciosa e dolorosissima attesa di un uomo che sta per essere privato del suo unico bene, della sua stessa vita, si consuma lenta e inesorabile, al ritmo ossessivo, martellante degli ultimi penosi pensieri e dei deliranti fantasmi di una mente incredula e atterrita. È con questa sorta di lucidissima e appassionata perorazione letteraria a favore dell’abolizione della pena di morte, pubblicata nell’ultimo anno della monarchia dei Borbone, che Victor Hugo, all’età di ventisette anni, prese posizione in difesa dei diritti inalienabili dell’uomo e innanzitutto di quello alla vita. La sua vocazione letteraria nasce e si costruisce infatti quotidianamente proprio in quel luogo vivo, presente, tangibilissimo che è la realtà circostante: non «il contingente, l’accidentale, il particolare», ma la trama superiore di una storia che diviene motivo di passione e di poesia altissima. E con incedere incalzante, travolgente, inarrestabile trascina con sé anche gli ultimi brandelli di vita di un condannato alla morte e all’oscenità abominevole di una folla che pretende urlante il suo spettacolo.

«Gli uomini, mi ricordo d’averlo letto in non so che libro dove c’era solo questo di buono, gli uomini sono tutti condannati a morte con rinvio indefinito. Che cosa c’è dunque di tanto diverso nella mia situazione?»


Victor Hugo

nato nel 1802, fu, per oltre mezzo secolo, il dominatore incontrastato della scena letteraria francese. Morì a Parigi nel 1885. Fu narratore fecondissimo; tra i suoi romanzi ricordiamo I miserabili, Notre-Dame de Paris, Il Novantatré, L’uomo che ride, tutti pubblicati dalla Newton Compton. Tutt’altro che di secondaria importanza è la sua produzione teatrale e poetica, che lo conferma uno dei massimi rappresentanti del romanticismo europeo.

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